…e una voce sottile risponde da lontano “…non vero! Se ne parla tanto nella new-age..”. Nel “V° Vangelo” di Mario Pincherle. Gesù confessa all’apostolo Tommaso: “Mi dipingeranno come un uomo che ama la sofferenza, ma non è così…” È difficile riconoscere il disorientamento profondo che esiste di fronte al tema della gioia. Certo se ne può parlare con più facilità rispetto a quello della morte o del sesso, ma pochissime sono le persone che ne portano in sé l’esperienza.
La gioia è un senso interno che spesso è stato scollegato nell’infanzia dalla radice del sentire, che è il Corpo.
La mancanza di gioia nella nostra vita sembra dipendere dagli eventi, ma in realtà è una mancanza di gioia nel nostro corpo…nella nostra pancia…
L’approccio scientifico identifica la gioia con il “tono dell’umore” e propone medicinali (psicofarmaci) che aumentano la quantità dei neuro trasmettitori che sembrano esserne alla base: serotonina e dopamina. Un certo tipo di fedeli trovano qualcosa che chiamano gioia nell’obbedienza e nella redenzione. Assoggettarsi alla sofferenza del senso di colpa o della punizione porta alla gioia del perdono! Gli arrivisti invece gioiscono delle loro conquiste sociali restando così totalmente dipendenti per la loro felicità, dalle risposte esterne e coltivando con cura la propria immagine, ma non il Sé autentico. L’impalcatura è vuota dentro e il ritmo del cuore, se si fermano ad ascoltarlo, ha uno strano rimbombo che dà angoscia. I giovani confondono lo “sballo” con la gioia e sono i più disorientati purtroppo, tranne poche eccezioni, rispetto all’esperienza interiore della gioia, perché sono figli di una generazione che ha lasciato i sogni a metà e si è imbambolata davanti alla TV. Quando l’infelicità è troppa e la vita diventa così pesante da costringerci a uno sforzo immane per sollevarci dal letto ogni mattina, allora cerchiamo di reagire con i mezzi che abbiamo. Prendiamo qualche iniziativa di tipo pratico: ci facciamo un regalo, ci iscriviamo a un nuovo corso ; o di tipo interiore: cerchiamo aiuto negli affetti, proviamo a migliorarci. Questi sono i primi passi importanti, gli unici che conosciamo, ma ancora niente ci dona davvero Gioia, riusciamo solo a restare un po’ più lontani dal “baratro”. Perché? Perché stiamo cercando la gioia senza conoscerla: la gioia è più grande del piacere, è diversa dall’appagamento, è pura energia radiante, totalmente libera dalle trappole dei nostri pensieri. La gioia è un sentimento che sconfina dal nostro piccolo io, dentro il quale soffocherebbe. Essa necessita del grande respiro di tutto l’essere spirituale. Non va però confusa con uno stato di ebbrezza da iperossigenazione di fantasie trascendenti! La gioia ha bisogno di concretezza, di legame con la vita, di azione, di rischio, di profondità. L’alchimia della gioia richiede: totale disponibilità alla vita, apertura di cuore e resa al divino. La via regia per aprire il cuore alla gioia è la gratitudine, una gratitudine che viene dal nulla e ama quello che incontra. Quando un fiore non è semplicemente bello…non è semplicemente profumato..ma ci commuove nel profondo… Se ci abbandoniamo a quella commozione e proviamo a dire “grazie”, la gioia è immediata, limpida. Quando il sentimento della gioia non è integrato nella personalità, tutto è più buio e nella nostra vita si susseguono momenti felici o noiosi o dolorosi che governano totalmente il nostro umore. Quando, entrando nella dimensione spirituale, attiviamo l’energia radiante della gioia, essa sarà presente con la sua forza e il suo calore sempre. Scopriremo che è possibile attraversare un grande dolore e contemporaneamente lasciare vibrare la gioia in noi. Il “pellegrinaggio” spirituale, qualunque sia il sentiero che abbiamo scelto dovrebbe aiutarci a realizzare l’alchimia della gioia insegnandoci a sviluppare gli elementi necessari e passandoci in anticipo la dimensione di questa esperienza. Come essere spirituale, in cammino come voi, che dedica la sua vita alla ricerca e al servizio; provo a darvi qualche consiglio su cosa mettere nella “valigia” prima di partire alla ricerca della gioia e su cosa eliminare per facilitare l’esplorazione:
- è indispensabile portare con sé: coraggio, disponibilità verso la vita, sentimento e apertura spirituale (cioè verso il non conosciuto)
- è fondamentale lasciare: chiusure, pregiudizi, timori, pretese, rancori, e pragmatismo (anche se sostenuto da un’ottima cultura!)
Cosa fare durante il cammino? Proporsi l’esperienza sciamanica del “divenire totalmente” ciò che si sta vivendo in ogni piccolo incontro, in ogni piccola esperienza. Lasciarsi raggiungere dentro dalla vita così profondamente da poter comprendere anche l’esperienza della morte senza averne più paura. Meditare, danzare, cantare, fare arte per nutrire l’anima e raggiungere così, attraverso di essa, il nostro Sé spirituale. Toccare ogni giorno la vita con il cuore e con le mani perché tutto sia reale, vivo e pulsante. Cercare il sostegno nella forza dello spirito e non solo nell’identità. Nel linguaggio dei chakra ciò significa che la forza guerriera del 3°Chakra che si ferma alle emozioni e alla strutturazione dell’identità è insufficiente ; la vera forza si completa più in alto, dal 7° chakra in su verso i chakra spirituali extracorporei. Oh! Dimenticavo… quando tutto questo è presente nel nostro cammino diventiamo più “belli”, la nostra aura si accende e sempre di più illumina i tragitti difficili, nostri e di chi “viaggia” con noi.
Con amore dott. Renata Righetti |